Rewind.
Sono in quarta elementare, in coda con altri
bambini e provo terrore.
La fila scorre ed uno dopo l’altro, i miei
compagni vengono ingoiati dalla porta bianca che ci fissa imponente e formale,
come un soldato immobile.
«Dai, è il tuo turno!» T. mi spinge piano,
invitandomi a procedere verso quella che per me era la peggiore delle
umiliazioni. T. è simpatico, ma è anche magro.
Leggero e per questo senza preoccupazioni in quel
momento. Mi faccio coraggio.
Ti prego, non pesarmi. Ti prego, non
pesarmi,
sono gli unici pensieri nella mia testa, mentre
l’infermiera mi controlla i capelli,
in cerca di pidocchi o quant’altro.
«Altezza?» chiede, afferrando una penna e un
modulo probabilmente da compilare.
Solleva lo sguardo e le sue pupille, poco al di sopra
degli occhiali, mi fissano impazienti. Rispondo con un mega sorriso, perché è
gentile farlo e mi piace farlo.
Sorridere alle persone a volte fa la
differenza.
Dentro di me però c’è sempre la speranza che
echeggia.
Ti prego, non pesarmi. Ti prego, non
pesarmi, mentre
mi guardo attorno, pur sempre curiosa di quella stanza bianca in cui avevo
occasione d’entrare raramente.
«Puoi salire su quella bilancia, per favore?»
commenta distrattamente, mentre pulisce le lenti con un fazzoletto
apposito.
Sapevo che sarebbe successo.
Mi sfilo le scarpe e salgo sulla bilancia.
Vorrei morire.